(Questo racconto è il proseguimento di “La luce nell’angolo”)
Molti si chiedono chi possa essere quel giovane, con capelli raccorti biondissimi e oggi di un azzurro che buca chi lo guarda. Lui è tornato perchè è l’unico che può difendere gli uomini, l’unico di loro che continua ad amarli, rischiando la propria esistenza.
Perchè io amo gli uomini? Perchè loro non li amano più?
E’ evidente che qualcosa si è rotto, ma sono solo io cosciente o esistono alri come me?
La storia di Mark è il germe di tale orrore, ciò che ai giorni nostri si vive si è incubato in quel corpo senza anima, in quell’uomo.
Scriverò ancora in seguito di lui per completare il quadro, ho captato recentemente che la prima manifestazione è avvenuta e ha come protagonista una bambina, questa volta non hanno avuto pietà, il loro quadro dell’orrore è stato scritto su un di un anima innocente, questo testimonia che la lotta sarà più dura di quel che sembra e che l’equilibrio tra bene e male si è rotto.
In una visione li vidi nascere, si generavano dal nulla, con animo minaccioso mi sfidavano, sanno che li stavo guardando perchè noi vediamo ciò che ci interessa, viviamo in un millesimo di secondo una vita e questa visione ha accavallato l’angoscia di milioni di abitanti del vostro mondo.
Il mio nemico è come me, si conosce, si sente forte, muta per sfidarmi. Ho impressa la nascita della più piccola che sarà contrastata dalla volontà di chi sta sopra di noi, come una pianta spinosa e ribelle viene potata dal giardiniere, io lotterò per lui, perchè lui crede e ama come me gli uomini.
E’ bene che cominci a studiarli, sono solo in questa battaglia, ma osservando dentro il loro animo mi accorgo che sanno che non sono l’unico, c’è qualcun’altro come me?
Se li incontrerò ci sosterremo ma forse è giusto che ognuno di noi lotti all’oscuro dell’altro, perchè in questa solitudine sta la nostra forza.
Dalla visione della loro nascita mi teletrasportai aldilà dei fili sottili di una vita. Due sorelle, la maggiore ormai matura, legate ancora di più dal vuoto incolmabile che hanno lasciato i loro genitori, morendo anni fa in un incidente stradale.
La forza della più grande è un filo sottile e traballante che si regge solo sull’appiglio del dovere e della responabilità, lei possiede un animo fagile lacerato dal dolore lasciato li a macire da anni e avallato da mille doveri.
L’amore di questa giovane è visibile, ciò a cui lei tiene maggiormente è l’incolumità della sorella, loro hanno agito puntando uno spillo contro questo suo tallone d’achille, e da qui comincia il loro terrore, vittime di una battaglia ancestrale che si ripercuote all’infinito, la loro arma sfoderata verso di me.
Se annientassi queste forze forse la bimba riuscirebbe a guarire da questo male incurabile.
Io le vidi in un giorno di primavera, andavano a coltivare il terreno che la madre e il padre gli avevano lasciato, erano in macchina con la zia, una Fiat cinquecento del 1966, entrambe si sedettero dietro lasciando il posto anteriore vuoto, sorridevano per il fatto che la zia dava l’impressione di un’autista donna.
La donna con i suoi grandissimi occhi scuri è molto solare, di carnagione molto chiara, ama le nipoti.
Insieme cantavano le canzoni del cartoni animati, che la più grande conosceva, la piccola solo le più recenti. L’immagine di una giornata di primavera fu turbata da qualcosa che evidentemente lacerava l’omeostasi della terra.
Un pupazzetto era stato lasciato a terra proprio nel luogo dove le donne sostarono con la macchina, la mia impotenza e il mio martirio è quello di non poter interaggire con i fatti del mondo, posso solo leggere negli animi, sentire il loro dolore, capirli, piangere con loro, posso solo calpire i miei nemici e quando questi si manifestano aspettandoli, ma questa volta hanno trovato un arma silenziosa che impedisce i miei colpi.
Non posso però permettere che tutto questo vada avanti incontrastato.
Speravo che la bimba di 10 anni appena possa trovare quel giocattolo brutto e non lo tocchi, ma loro conoscono bene le vittime. Quel pelusce aveva cucite le mani in bocca, era insolito e inquietante, speravo che possa avertire in qualche modo la bimba un senso di pericolo, ma lei si chino’ e mentre la sorella e la zia coltivavano le piantine lei lo prese.
Da lì si trasformò la sua mente, su invasa da una voglia sfrenata di mangiarsi le mani… E così fece sotto gli occhi terrorizzati della zia e della sorella.
Lì la più grande tirò un grido e corse via lancindo il sacchetto bianco, candido, con le piantine da trapiantare. La sua fu una corsa repressa da anni, si allontanò da un evidente problema che lei stessa si sentì incapace di domare. Sua sorella sembrava preda di qualcosa, non ragionava più, nessun essere umano è capace di un geto tale, solo chi possiede un’invalidità mentale è capace di un gesto simile e lei non accettava che la sorella improvvisamente, così come un fulmine in piena luce, ne fosse vittima.
Lì misi il mio orecchio nel suo cuore e vidi un turbine di emozioni, la paragono a un cavallo paventato che galoppava in preda al terrore incosciente di dove questo la possa portare.
Sicuramente il filo sottile questa volta si era rotto, ciò che aveva visto non poteva contrastarlo, la zia sicuramente più grande di lei avrebbe saputo come gestire il problema, lei no, non sopportava quell’immagine di sua sorella che masticava le sue dita.
L’immagine a cui ha assistito intonita e terrorizzata fu manifestazione di un qualcosa di più grande che non poteva esorcizzare e così impotente, non riusciva a accettare una possibile malattia o uno stato improvviso che ha colpito la sorella perchè il terrore del male si è abisato e circondato col terrore di accettare questa nuova piaga, come quando improvvisamente i suoi genitori sono spariti.
Mai la bambina ha avuto un cedimento, era una bimba normale, allegra e anche più matura della sua età, molte volte senza che la maggiore lo facesse vedere traeva la sua forza dalla piccola, adesso era sola più che mai a combattere contro il demone di sua sorella, per il suo bene.
Se l’abbandoni tu? Chi la salva?
Un sussurrò, fu evidente, non mi sentì.
Entrò nello tudio dove lvorava come infermiera, era il suo giorno libero, il suo collega vedendola si preoccupò, era un ragazzo alto, molto, con i capelli nerissimi, stava fasciando una bambina.
Potti vedere che nell’nimo della ragazza quell’immagina suscitò tristezza e dolore, chi poteva curare le ferite che si era procurata la sorella meglio di lei.
Che sciocca che era stata.
La bambina era andata a cercarla, raggiunse lo studio con la zia, anche per approfittare delle cure degli infermieri, la zia era sicura qualcosa aveva turbato la mente della bambina e dovevano contrastare quelle crisi con tutte le loro forze.
Corse lei verso la sorella e la strinze forte, le promise che non succedeva più.
Nella sala una bambina possedeva un portachiave con le mani cucite, la bimba lo scorse e rise sadicamente in segreto.
Io conosco il problema ma non posso farmi sentire, starò a osservare i fatti sperando che loro stesse trovino la forza per non abbandonarsi al maligno.
“Signore posso sapere perchè si trova qui?”
Sentì una voce… qualcuno mi vede?
Accidenti che potenza! Non solo il clima, ma il susseguirsi di immagini. Il pupazzo, per esempio. E la metafora della pianta spinosa è bellissima. Splendida pagina!