“I castelli sono figure architettoniche fortificate complesse tipiche del Medioevo, che a causa di modificazioni e stratificazioni subite in varie epoche, non sono di facile lettura. Sorgevano solitamente in un luogo strategico, in posizione elevata e fcilmente difendibile.”
“Carinis dominata da una “hisn” (fortezza) di recente formzione”: così il geografo spgnolo d’origine araba “Al-Idrisi” (1099-1166), nel suo libro, “Kitab al-Jami-li-Sifat Ashtat alNabatat” (dedicato a Re Ruggero), descrive il Castello di Carini.
L’edificio è eratto tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo dal feudatario normanno Rodolfo Bonello, su una costruzione precedente, testimoniata dall’arco a sesto acuto, posto fuori il castello, che suggerisce una datazione al periodo islamico (X secolo).
Come ricorda o studioso diplomatico J.L.A: Huillard-Brèholles nel luglio 1220 (periodo Svevo) Federico II ordinava che civitates, casalia, villas ecclesias, possessiones, villano set jura dell’Arcivescovato di Monreale fossero restituiti in quanto erano stati usurpati; quindi anche il castello di Carini passava alla corona.
Al XIII secolo è riconducibile il portale d’ingresso alla corte, caratterizzato dll’arco ogivale a sguanci e la cinta muraria, realizzate con muratura a sacco in conci di pietra sbozzata, del bastione.
Con gli Aragonesi del 1283, sotto il regno di Costnza D’aragone, il castello passa alla famiglia Abbate, che lo trasformarono realizzando sia opere di difesa sia ambienti residenziali.
Nel XIV secolo, il feudo di Carini passa alla potente famiglia dei Chiaramonte, da Giovanni a Manfredi, per arrivare lla fine del secolo alla grande famiglia Moncada, d’origine catalana, avversa ai Chiaramonte. Dopo pochi anni per “fellonia” anche i Moncda perdono la signoria di Carini.
A questa fase trecentesca risalgono le torri, dove è ben visibile lo scudo a punta degli Abbate, ed il perimetro murario dell’intera struttura.
NEl 1397, re Martino il Giovane assegna al castello, dopo l’ccusa di Tradimento degli Abbate, e il perimetro Ubertino La Grua, suo consigliere catalano. I La Grua manterranno il castello fino al 1977, data in cui lo cederanno al Comune di Carini. La maggiore trasformazione il castello lo subisce con i La Grua che gli danno un aspetto rinascimentale.
Già dal 1403, anno in cui Ilaria La Grua, figlia di Ubertino, sposa Gilberto Talamanca, il castello inizia a subire trasformazioni rdicali.
Due atti di noti attestno che nel castello furono fatti resturi: uno nel 1484, ad opera dei maestri Petrus Firreri, Lucas Lu Blancu, Petrus Carrara e Philippus Porcellus (O.o), ingaggiati dal barone Pietro La Grua; l’altro, del 1487, ad opera del maestro Masio de ammanco, il quale si obbligva con Guglielmo Talamanca, come tutore di D. Giovanni Vincenzo La Grua, ad eseguire delle “fabbriche” per il castello.
La corte interna caatterizza lo spazio del maniero, dove è possibile scorgere, sul lato Nord, al piano terra, un portale a sesto acuto a sguarci del XIV secolo e quattro portali del XVI secolo; al piano superiore le due finestre ed il portale del salone delle feste, sormontati da stemmi raffiguranti la gru (simbolo della famiglia), rielano quale era il gusto rinascimentale dell’epoca.
Una bifora, oggi murata ci riporta a un periodo precedente.
entrando al piano terra una stanza con volte a crociera ha dentro un muro a faccia vista, che prosegue nella stanza successiva. Originariamente era un muro esterno, ma in seguito a ari rimneggiamenti diviene muro interno.
Un grande salone, nella stanza attigua, è diviso da due arcate a sesto acuto con colonna centrale, affiorate durante i lavori di restauro, erano inglobate dentro il muro. Il portale che divideva il salone è oggi addossato alla parete nord, ma originariamente si trovava parallelo all’altro della parete opposta. Tre finestre davano luce al salone; una è murata ed è isibile solo esternamente.
Nel lato est del piano terra si trova: in una stanza un lavatoio in pietra di “Billiermi”; in un’altra la cappella di palazzo, affrescata trombe l’oeil (XVII – XIX secolo), con una statua di marmo rppresentante la Madonna di Trapani (che reca la data 1509), oggi al museo civico, attribuita a A. Mancino, scultore del XVI secolo.
All’esterno uno scalone in pietra di “Billiemi”, probabilmente opera dell’architetto Matteo Carnalivari (1449 – 1506), conduce al piano superiore. sinistra un portale marmoroso con una scritta: “ET NOVA SINT OMNIA” (e nuove siano tutte le cose)” che è la continuazione di un’altra frase che si trova su un altro portale nel lato sud – ovest, “RECEDANT VETERA” (recedano le cose vecchie), sottolineano i lavori di rinnovmento stilistico che subì il castello alla fine del XV secolo per renderlo conosono al gusto rinascimentale.
Il salone delle feste del piano nobiliare è un classico esempio di sala quattrocentesca con soffitto ligneo cassettonato ad incastro. Un camino impreziosito con lo stemma dei La Grua ed ampie finestre con sedili adornati ai lati.
Il soffitto è ripartito in 13 riquadri da spesse travi e presenta una caratteristica peculiare, tipica di quella ascendenza culturale dei soffitti a “miquarnas” tipica del periodo arabo normanno.
Non si hanno notizie sulla sua costruzione, ma stilisticamente è databile ala prima metà del XV secolo. I soggetti principali della decorazione sono delle scritte in latno tratte dai Salmi, che decorano il soffitto nelle piccole vele centrali e laterali.
La frase aristotelica “IN MEDIO CONSISTIT VURTUS” e “ET IN EXTREMIS LABORE” sono ripetute più volte nella parte centrle del soffitto; mentre, nei pennacchi laterali, troviamo anche lo stemma dei La Grua (una gru) e dei Lanza (un leone).
Poseguendo verso il lato est, si possono ammirare vari ambienti arescati secondo un gusto ottocentesco dell’epoca, ma i saggi di restauro mostrano gli affreschi precedenti del XVII secolo.
Non è facile dare una destinazione agli ambienti, ma una certamente, caratterizzata da un portale settecentesco, ne connota la destinazione: l’alcova o stanza da letto. La stanza antistante, con volta a botte ha un affresco raffigurante “Penelope ed Ulisse” con accanto il cane Argo. Alle pareti, sono raffigurate vedute archeologiche. Troviamo anche una stanza affrescata in pieno stile pompeiano. Dal lato oest una stanza si distingue per un soffitto con vele e pennacchi terminanti in pietr di Billemi che ci riconduce allo stile gotico.catalano tipico del XIV secolo.
Per una scaletta di accede alla torre del castello dove è possibile ammirare una bifora con lo stemma degli Abbate ed una volta a crociera con pennachi terminanti anch’essi con pietra di Billemi. Una scala, oggi non più esistente, permetteva di uscire nei merli della torre.
Guardando esternamente la tore, si può notare, nella penultima mensola verso sud, la scultura di una mano. Certamente si tratta di un simbolo di fortuna legato ad una maestranza araba (la mano di Fatima, figli di Maometto).
LAURA LANZA BARONESSA DI CARINI
La leggenda narra la morte di Donna Laura Lanza che a soli 14 anni andò sposa, per volere del padre, al barone di Carini. Ben presto, delusa dalla vita matrimoniale e dai continui abbandoni del marito impegnato nella cura della sua proprietà, la baronessa si innamora di Ludovico Vernagallo, e ne diventa l’amante. Scoperta dal marito e dal padre, Laura viene uccisa insieme a Ludovico. La stanza dell’assassinio, situata nell’ala ovest del castello, è crollata completamente e si narra che su una parete vi fosse l’impronta insanguinata della baronessa.
Adesso tutto ciò che resta della leggenda sono: il fantasma di Laura, che si dice si aggiri ancora senza pace nel castello e un enigma particolare… in una delle metope del torrione principale, proprio in direzione del luogo ove sorgeva l’ala ovest, è scolpita… una manina!!!
Fuori dalla leggenda si può affermare che Laura era una ragazza che poteva dar lustro sia ai La Grua – Talamanca che ai Vernagallo, ma i La Grua bruciano i tempi la chiedono in sposa per il figlio Vincenzo. All’età’ di quattordici anni, il 21 dicembre 1543 viene celebrato il matrimonio. Non era possibile farsi precedere dai Vernagallo, anche se era nota a tutti la grande tenerezza di Laura per Ludovico. Tuttavia il fatto, almeno in apparenza, non turbò l’amicizia fra le famiglie. Infatti, nonostante tutto, Ludovico era considerato come uno di famiglia.
A poco a poco però, gelosie e vecchi rancori emersero fra i La Grua, Lanza e Vernagallo, ed ecco le insinuazioni, le calunnie ed infine il tragico evento.
Nella realtà, esistono dei documenti dai quali risulta che il Vicerè di Sicilia, informa, all’epoca, la Corte di Spagna che Cesare Lanza, barone di Trabia e conte di Mussomeli, ha ucciso la figlia Laura e Ludovico Vernagallo. Questo documento avvalora l’atto di morte della baronessa, redatto il 4 dicembre 1563 e che si conserva nell’archivio della Chiesa Madre di Carini insieme a quello di Ludovico Vernagallo. Non esiste, invece, alcuna prova che tra Laura Lanza e Ludovico Vernagallo ci fosse qualcosa di diverso dall’amicizia. Quindi Cesare Lanza di Trabia, complice il genero, uccise per leso onore della famiglia, la figlia Laura e fece uccidere da un sicario Ludovico Vernagallo.
La leggenda racconta che fu un frate del vicino convento, infatti, ad informare il padre ed il marito della sposa, e questi, assieme, freddamente meditarono e prepararono l’assassinio.
Fu preparato l’agguato e quando l’ignobile spia si accorse che i due amanti stavano insieme, avvertì don Cesare Lanza, che corse nella stessa notte a Carini, accompagnato da una sua compagnia di cavalieri, e fatto circondare il castello, per evitare qualsiasi fuga dell’amante di sua figlia, vi irruppe all’improvviso, e sorpresili a letto, li uccise.
L’atto di morte di Laura Lanza e Lodovico Vernagallo, trascritto nei registri della chiesa Madre di Carini, reca la data del 4 dicembre 1563. Nessun funerale fu celebrato per i due amanti, e la notizia della loro morte, o per paura o per rispetto, fu tenuta segreta. La cronaca del tempo lo registrò con estrema cautela senza fare i nomi degli uccisori, scrive Luigi Maniscalco Basile, senza dire nemmeno che cosa era accaduto, mentre il Paruta riporta il fatto nel suo diario, così: “sabato a 4 dicembre. Successe il caso della signora di Carini”. Ma nonostante la riservatezza d’obbligo, la notizia si divulgò lo stesso ed il “caso” della baronessa di Carini divenne di dominio pubblico.
Il Salomone Marino, nel secolo scorso, raccolse da un esaltatore questi versi in cui si fa rivivere l’efferatezza del delitto:
“Vju viniri ‘na cavalleria
chistu è mè patri chi veni pri mia!
Signuri patri, chi vinistivu a fari?
Signura figghia, vi vegnu a ‘mmazzari.
Signuri patri, aspettatimi un pocu
Quantu mi chiamu lu me cunfissuri.
– Habi tant’anni ch’un t’ha confissatu,
ed ora vai circannu cunfissuri?
E, comu dici st’amari palori,
tira la spata e cassaci lu cori;
tira cumpagnu miu, nun la sgarràri,
l’appressu corpu chi cci hai di tirari!
Lu primu corpu la donna cadìu,
l’appressu corpu la donna muriu.”
Il viceré, appena venuto alla conoscenza dei delitti, immediatamente adottò per don Cesare Lanza ed il barone di Carini i provvedimenti previsti dalla legge; furono banditi ed i loro beni vennero sequestrati. Don Cesare Lanza ancora una volta si rivolse a re Filippo II; spiegò i motivi che lo avevano portato assieme al genero a trucidare i due amanti ed avvalendosi delle norme, in quel tempo in vigore, sulla flagranza dell’adulterio, chiese il perdono che fu accordato. Liberato da ogni molestia, don Cesare Lanza riebbe i suoi beni; ancora una volta la Giustizia non lo aveva neanche toccato e giustamente, come scrisse il Dentici, “l’aristocrazia del tempo era al di sopra delle leggi e della giustizia”. Anche il barone di Carini, marito di Laura, fu assolto con formula piena, e visse indebitato sino alla sua morte, dopo avere portato al Monte dei Pegni gli ultimi gioielli della sua famiglia.
Memoriale presentato da Cesare Lanza al Re di Spagna per discolparsi del delitto della figlia Laura
Sacra Catholica Real Maestà,
don Cesare Lanza, conte di Mussomeli, fa intendere a Vostra Maestà come essendo andato al castello di Carini a videre la baronessa di Carini, sua figlia, come era suo costume, trovò il barone di Carini, suo genero, molto alterato perchè avia trovato in mismo istante nella sua camera Ludovico Vernagallo suo innamorato con la detta baronessa, onde detto esponente mosso da iuxsto sdegno in compagnia di detto barone andorno e trovorno detti baronessa et suo amante nella ditta camera serrati insieme et cussì subito in quello stanti foro ambodoi ammazzati.
Don Cesare Lanza conte di Mussomeli
Il Giornale di Sicilia del 5/02/2010 pubblica la seguente notizia:
Omicidio baronessa di Carini: dopo 450 anni si riapre l’inchiesta
A quasi 450 anni dal misterioso delitto si riaprono le indagini sull’omicidio della Baronessa di Carini, la nobildonna Laura Lanza assassinata assieme al proprio amante, Ludovico Vernagallo, il 4 dicembre 1563.
Il sindaco di Carini (Palermo), Gaetano La Fata, ha infatti deciso, a pochi mesi dalla conclusione della sua seconda legislatura, di affidare ad un team di criminologi di fama internazionale la riapertura dell’inchiesta.
Dal 22 al 25 marzo, gli investigatori dell’Icaa (International crime analysis association) arriveranno in città per risolvere il mistero con l’ausilio di moderni strumenti d’indagine.
Il castello di Carini si trasformerà, pertanto, in un vero e proprio centro d’investigazioni e le attività effettuate dagli esperti potranno essere osservate anche dal pubblico. Saranno anche organizzati corsi e seminari sulle moderne tecniche d’indagine scientifica.
Del team investigativo farà parte anche lo psicologo e criminologo Marco Strano considerato uno dei maggiori esperti al mondo di psicologia investigativa e criminal profiling.
L’omicidio avvenne all’interno del castello che domina il paese, la dimora della baronessa. Laura Lanza, a soli 14 anni era andata in sposa, per volere del padre, al barone di Carini, Vincenzo La Grua Talamanca.
La leggenda narra che ad uccidere la baronessa e l’amante sia stato il padre della donna, Cesare Lanza, barone di Trabia e conte di Mussomeli, con il beneplacido del barone La Grua Talamanca.
Esisterebbero dei documenti nell’archivio della chiesa madre di Carini, dai quali risulta che effettivamente Cesare Lanza di Trabia avrebbe ucciso la figlia. Anche gli atti di morte della baronessa e di Ludovico Vernagallo sarebbero ancora conservati nella stessa chiesa.
A distanza di secoli, però, la vicenda non è stata mai chiarita del tutto, in particolare per quanto riguarda il ruolo nel delitto del marito tradito.
Fantasmi al castello di Mussumeli
Il Castello di Mussomeli a Carini, sembra essere lo scenario perfetto per fatti tragici e cupi. Tante sono le leggende che si raccontano.
Una leggenda narra del suicidio per amore di un soldato che si era innamorato della figlia del barone Manfredi.
Manfredi, allora, adirato per ciò che riteneva un gravissimo affronto, diede l’ordine di rinchiudere il soldato in una segreta del castello e in quella, farlo lentamente morire di fame. Il giovane soldato, per sottrarsi a quella condanna, preferì gettarsi da una torre del castello.
Un’altra leggenda narra della raccapricciante uccisione di un gruppo di nobili, che venne fatto cadere in un trabocchetto e lessati vivi con getti di olio bollente.
Nel tenebroso castello, inoltre, si rifugiò Cesare Lanza, preso dal rimorso per aver assassinato la figlia Laura, Baronessa di Carini, che egli sospettava di un comportamento dissoluto. Si racconta che il fantasma della Baronessa di Carini, ancora si aggira nel maniero, è il fantasma di una donna giovane ed elegante, dalle perfette sembianze umane, vestita di abiti cinquecenteschi. Pare si veda simulare la scena della morte e fluttuare per aria sulle vie crollate e non più esistenti del castello.
Il Castello ancora oggi occupa una posizione strategica dalla quale domina il territorio circostante e la Cappella che ospita al suo interno e’ talmente suggestiva e con le sue intense atmosfere mistiche rapisce l’anima di chiunque vi si soffermi anche se per pochissimo tempo.
La Sala detta “dei Baroni” e la “Camara di li tri Donni” sono interessantissime dal punto di vista esoterico poiché la leggenda vuole che vi siano accaduti dei fatti veramente misteriosi numerosi sono i visitatori che affermano di aver percepito strani rumori, fruscio di vesti di seta, clangore di armi e strani sospiri da far pensare di essere attorniati da strane presenze.
Il Castello di Mussomeli è stato da sempre un punto di riferimento per tutti coloro che si sono interessati ai fenomeni dell’occulto a causa dei numerosi avvenimenti tragici, basti pensare alla strana vicenda accaduta nella Stanza di li tri donni, dove sembra che tre donne, vittime di un conflitto di gelosia, vennero murate vive proprio nelle pareti della stanza in questione.
Famoso per la tragica vicenda che ha avuto come protagonista Laura Lanza, Baronessa di Carini, figlia di Cesare Lanza, che nel 1500, era l’unico proprietario del Maniero e lo abitava con la propria famiglia.
La storia tramanda che Cesare Lanza, venuto a conoscenza che la propria figlia Laura, coniugata con il Barone Carini, aveva mantenuto dei rapporti extraconiugali con un giovane cavaliere, per difendere l’onore del Casato, si recò presso il Castello di Carini, dove dimorava Laura e cogliendola sul fatto, decise di assassinare la propria figlia, strangolandola.
Avvenuto l’infame delitto, Cesare Lanza, divorato dai rimorsi, decise di rifugiarsi nel Castello di Mussomeli per espiare.
Triste destino quello che fu riservato a Donna Laura di Carini!, andata sposa a soli 14 anni, per volere del padre, al Barone Carini che, tutto preso dagli affari legati alla sua proprietà, si disinteressò bene presto della giovane moglie, lasciandola spesso sola e triste nell’antico maniero che la ospitava.
Laura aveva un amico d’infanzia, Ludovico Vernagallo, con il quale soleva passare molto del suo tempo e ben presto molti cominciarono a pensare che ne fosse divenuta l’amante…..da qui il tragico epilogo della sua vita.
Ancora oggi, sembra, che lo Spirito di questa infelice donna vaghi per il Castello di Musomelli alla ricerca del padre che l’avrebbe uccisa ingiustamente.
Alcuni testimoni affermano che la sua materializzazione è quasi perfetta, tanto che se non fosse per l’abbigliamento appartenente ad un’altra epoca, la si potrebbe confondere per una donna realmente vivente.
Laura indosserebbe degli abiti del 500, un’ampia gonna di seta, un corpetto sul quale avvolge uno scialle finemente lavorato.
Chiunque si trovi a visitare il Castello potrebbe incontrarla mentre vaga per le tre stanze più grandi del Maniero oppure mentre si reca presso la Cappella, dove si inginocchia e prega.
Il conte non pagò mai per l’orrendo delitto mentre il Barone di Carini, il 4 maggio del 1565, convola a nuove nozze con Ninfa Ruiz.
Nessuno ancora oggi riesce a spiegare il motivo di tanta crudeltà verso una donna che, anche gli storici dell’epoca, hanno sempre definito ” di fascino e di grandi virtù”!
Ludovico Vernagallo, inoltre, era da sempre amico di Laura e considerato anche dal conte Lanza come uno della famiglia!
Cosa mai avrà armato la mano del parricida rimane uno dei più grandi misteri storici che nessuno riuscirà mai a risolvere!
Visitando il Castello di Mussomeli non si può evitare di pensare alla Baronessa di Carini ed alla sua tragica ed eterna ricerca per conoscere, finalmente, dal proprio genitore il motivo di tanta crudeltà!
Esperienze personali:
Mi sono recato al castello anni fa quando ho parlato nel mio primo blog, ora andato perduto, devo dire di aver sentito una temperatura molto bassa tipica delle dimore infestate. Oltre a questo e al fatto che da ogni angolo mentre passeggi hi la sensazione di non essere da solo, ma di essere scrutato continuamente, non ho visto e sentito nulla.
Prima di scrivere questo post, giorni fa trovai la nota stampata mia battuta e la copia della guida che da il custode a carini scritta da Giuseppe randazzo di cui ho preso le note e l’introduzione descrittiva del castello, sul mio tavolo. Un fatto al quanto misterioso e adesso mentre scrivo ammetto di ave sentito delle voci, ma è tutto nella norma.
Riporterò adesso una galleria di foto scattate quel giorno.